lunedì 23 febbraio 2009

RIS Calabria



La Regione Calabria ha elaborato il Primo Piano Regionale per l'Innovazione con due anni di intenso lavoro (progetto RIS - Regional Innovation Strategies, 1997-1999) e il contributo di decine di esperti, imprenditori e organizzazioni del sistema regionale di sostegno all'innovazione.

Molte idee e proposte scaturite da questo lavoro collettivo sono state riprese nel Programma Operativo Regionale 2000-2006 per i fondi comunitari.

In particolare, il progetto RIS+ (2000-2001) ha operato per:

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aggiornare il Primo Piano Regionale per l'Innovazione e favorirne l'implementazione nell'ambito del Programma Operativo Regionale.
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realizzare studi di fattibilità e progetti pilota per dimostrare l'attuabilità concreta del Piano;
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promuovere e ralizzare su più vasta scala - anche con il sostegno dei fondi comunitari - le esperienze pilota di successo avviate dal RIS+

Il progetto RIS+ è stato cofinanziato dalla Regione Calabria e dall'art. 10 del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale
Introduzione

Nella primavera del 1999, è stato elaborato e presentato alla Commissione Europea il Piano di Lavoro per accompagnare la realizzazione del 1° Piano Regionale per l'Innovazione costruito dal progetto RIS Calabria. La proposta operativa è stata presentata nell'ambito dell'azione sperimentale RIS+, sostenuta dall'articolo 10 del Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale (Azioni Innovative) con il cofinanziamento della Regione Calabria.

L'obiettivo operativo del progetto RIS+ è duplice e prevede:

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la realizzazione nel triennio 2000-2002 del 1° Piano di Azione Regionale per l'Innovazione elaborato dal progetto RIS
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la definizione operativa del 2° Piano di Azione Regionale per l'Innovazione per il successivo Triennio 2003-2005

Nell'ambito del Progetto RIS+ si rafforza la funzione e la visibilità del Forum Regionale per l'Innovazione che si articola nei seguenti Gruppi di Lavoro con gli attori locali:

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Agricoltura e agroindustria
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Industria Manifatturiera
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Turismo
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Trasferimento Tecnologico e Creazione di Imprese Innovative
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Formazione delle Risorse Professionali
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Finanziamento dell'Innovazione
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Cooperazione tra gli Attori del Sistema Regionale per l'Innovazione
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Istituzioni e Sviluppo Locale
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Azioni Innovative per lo Sviluppo delle Aree Urbane
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Reti Infrastrutturali e Servizi alle Imprese

Gli strumenti adottati dal RIS+ sono essenzialmente di tre tipi:

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studi di fattibilità, da realizzare nella prima parte del progetto e, possibilmente, da realizzare come progetti pilota (dimostrativi) nella seconda parte del progetto RIS+ o da includere nel 2° Piano Regionale per l'Innovazione per un ulteriore sviluppo
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progetti pilota, intesi come progetti dimostrativi che non richiedono uno specifico studio di fattibilità o per i quali tale studio sia già disponibile. Tali progetti sono tipicamente caratterizzati da una scala ridotta anche se mantengono un valore strategico in termini di impatto sul sistema regionale
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iniziative di cooperazione nell'ambito della rete delle regioni RIS-RITTS.

Il piano di lavoro del progetto RIS+ è articolato in 4 Azioni.

Azione 1
Coordinamento e Assistenza Tecnica per la Gestione del 1° Piano di Azione Regionale per l'Innovazione ed Elaborazione del 2° Piano di Azione Regionale per l'Innovazione

Azione 2
Studi di Fattibilità del 1° Piano di Azione Regionale per l'Innovazione

Azione 3
Progetti Pilota del 1° Piano di Azione Regionale per l'Innovazione

Azione 4
Reti di Cooperazione per l'Innovazione



Il RIS-Calabria è co-finanziato dalla Comunità Economica Europea e dalla Regione Calabria, nell'ambito del programma comunitario Regional Innovation Strategy (art. 10 FESR), promosso congiuntamente dalle divisioni DGXVI (politiche regionali e coesione) e DGXIII (ricerca scientifica e trasferimento tecnologico) della Commissione della Comunità Europea, per favorire lo sviluppo di politiche regionali per l'innovazione.
Ritratto della Calabria
Introduzione

Nonostante i progressi significativi di limitati comparti di attività economica e di sparuti contesti subregionali, la Calabria odierna è ancora un'area caratterizzata da un pronunciato sottosviluppo dei settori produttivi. L'industria manifatturiera moderna è di fatto inesistente; l'agricoltura, pur in un quadro di differenziazioni spaziali e aziendali, soffre di croniche inefficienze produttive e organizzative; il terziario innovativo per la produzione, proprio a ragione dell'asfissia dello sviluppo industriale e agricolo, stenta ad espandersi e decollare. La Calabria si appresta a svoltare il terzo millennio senza un vero sistema produttivo, pressoché priva di base materiale. E' questa la diseconomia più grande per il futuro sviluppo economico, sociale e civile della regione.

Purtuttavia, la Calabria non è neppure lontanamente assimilabile alle ancora tanto vaste aree sottosviluppate del pianeta con problemi di povertà fisica e di sussistenza alimentare. Al contrario, il volto contemporaneo della regione è contrassegnato da un benessere sociale alquanto diffuso, sebbene continuino a persistere sacche di miseria solide e silenti, soprattutto nelle zone interne meno coinvolte dai flussi di trasferimenti monetari pubblici. Grazie a questi ultimi, i consumi privati dei calabresi sono cresciuti notevolmente, fino a raggiungere in anni recenti soglie molto vicine ai valori medi nazionali.

La spesa pubblica è stata la "mano visibile" pressoché esclusiva della crescita impetuosa del benessere e della "mobilitazione dei consumi" dei calabresi, mentre lo Stato, nelle sue mille ramificazioni centrali e periferiche, ha giocato quasi solitariamente il ruolo dell'"imprenditore".

Senza industrie e apparati produttivi autoctoni, la Calabria, dunque, nel giro dei pochi decenni postbellici, ha sperimentato una spettacolare ed inedita trasformazione sociale: da area povera e isolata a regione "ricca" e integrata, dalla fame generalizzata alle televisioni in ogni casa, dall'arretratezza alla modernità. Come è noto non si è trattato di un trapasso indolore e lineare. La "modernizzazione senza produzione" ha sconvolto gli antichi equilibri territoriali, distruggendo risorse ambientali pregiate, ha alimentato emigrazione di massa e consumi improduttivi, impoverendo di risorse umane e di microeconomie locali il tessuto produttivo regionale, ha assolutizzato la regolazione politica dell'economia e della società, depotenziato gli orientamenti al mercato e all'imprenditoria autonoma. Senza trascurare le altrettanto importanti conseguenze del processo di modernizzazione eterodiretta sul sistema sociale, quali l'ipertrofica aspettativa di soluzioni di sviluppo dai centri decisionali extraregionali, l'enfasi sulle mere quantità finanziarie, la specializzazione dei soggetti locali nelle tecniche di massimizzazione dell'accesso alle risorse monetarie esogene a prescindere dalla loro qualità, la curvatura personalistica dei flussi di trasferimenti, la formazione di indistinti e trasversali blocchi socio-politici locali finalizzati unicamente a catturare finanziamenti pubblici.

I risultati sono evidenti. Individualmente i calabresi sono molto più ricchi di prima ma la Calabria continua ad essere povera di beni pubblici essenziali per lo sviluppo economico e civile: dalla scuola alla sanità, dai servizi socio-culturali alle infrastrutture pubbliche di base (reti idriche, telecomunicazioni, sistema viario), la regione denota un gap consistente e crescente nei confronti delle regioni sviluppate. I calabresi consumano molto più merci del passato, ma le produzioni autoctone si vanno progressivamente assottigliando. La ricchezza e la circolazione monetaria si sono dilatate rapidamente ma l'esercito dei disoccupati ha toccato picchi mai raggiunti.
Sistema Economico
Valutazione quantitativa del sistema economico regionale

L'analisi dei principali dati economici mostra che la Calabria è una regione in fortissimo ritardo di sviluppo. Il prodotto per abitante in Calabria è stato nel 1996 pari a 18.753.000 di lire correnti, raggiungendo solo il 58% di quello medio italiano e appena il 48% di quello centrosettentrionale. La Calabria è ultima nella classifica delle regioni italiane per livello di prodotto pro-capite. Il rapporto tra la produttività calabrese e quella italiana è pari al 77% (rispetto al Centro Nord, 72% e al Mezzogiorno, 92%). Il tasso di disoccupazione si attesta intorno al 25%. In Italia il tasso di disoccupazione è del 12,1%; nel Centro-Nord del 7,7% e nel Mezzogiorno del 21,7%. La media dei paesi dell'Unione Europea (EUR15) è 10,7%. La situazione è ancora più grave in Calabria per quanto riguarda la disoccupazione giovanile. Il tasso di disoccupazione, nella fascia di età tra i 15 e i 24 anni, è pari al 65,2% (Italia: 33,8%; Centro Nord: 22,8%; Mezzogiorno: 56%; media UE: 20,8%).

I consumi privati in Calabria raggiungono il 76% dei consumi nazionali (poco più di 11 milioni ai prezzi 1990) (il 67% del Centro-Nord e il 99% del Mezzogiorno). Il divario con la media nazionale è significativo, ma di gran lunga meno accentuato rispetto alla differenza nella produzione pro-capite (58%). Gli investimenti totali lordi in Calabria nel 1995 sono pari a 2.851.000, nettamente inferiori a quelli italiani (4.227.000) e al Centro-Nord (5.192.000), mentre sono lievemente maggiori di quelli meridionali (2.582.000).

La Calabria ricopre un ruolo assolutamente marginale nelle esportazioni verso l'estero. Nel corso del 1997 le esportazioni di beni e servizi dalla Calabria ammontano ad appena 401 miliardi. Per l'Italia nello stesso periodo le esportazioni sono state pari a 405.731 miliardi. La quota della Calabria sul totale italiano è dello 0,1%: su ogni 1.000 miliardi esportati dall'Italia solo 1 proviene dalla Calabria.

L'indice di densità imprenditoriale, dato dal rapporto tra il numero delle imprese in attività e la popolazione complessiva, è pari a 5,5% per la Calabria, 7,5% per l'Italia, 8,3% per il Centro-Nord e 6% per il Mezzogiorno, mostrando quindi un notevole sottodimensionamento della regione rispetto alle zone più sviluppate del paese. Il tasso di industrializzazione (numero di addetti all'industria ogni 1.000 abitanti) è uguale a 54 in Calabria, 110 in Italia, 135 nel Centro-Nord e 66 nel Mezzogiorno.

L'esame del conto delle risorse e degli impieghi della Calabria permette di comprendere da dove provengono le risorse utilizzate nella regione e quali sono le destinazioni finali di queste risorse (struttura della domanda). Il dato più rilevante è che il totale degli impieghi (consumi privati e pubblici, investimenti) è largamente superiore alla produzione realizzata. Ciò comporta una notevolissima quota di importazioni nette (saldo tra beni e servizi importati e beni e servizi esportati): la bilancia delle partite correnti "virtuale" della Calabria registra un disavanzo in rapporto al PIL pari al 35%. Le importazioni nette rappresentano una misura indiretta del totale delle risorse esterne che vengono trasferite in un sistema economico. Questo consistente drenaggio di risorse dal resto dell'Italia a favore della Calabria conferma il fatto che la regione è fortemente assistita e dipendente.
Settori
Specializzazione settoriale

Il valore aggiunto totale (al costo dei fattori) calabrese pari a 28.829 miliardi nel 1996 (prezzi 1990) proviene per 2.270 miliardi dall'agricoltura (7,9%), per 4.924 miliardi dall'industria (17,1%) e per ben 21.636 miliardi (il 75%) dal settore terziario.

Per quanto riguarda l'occupazione, le 617.000 unità di lavoro totali si ripartiscono all'interno dei tre grandi macro-settori nel seguente modo: 146.200 in agricoltura (23,7%), 112.400 (18,2%) nell'industria e 358.400 (58.1%) nel complesso dei servizi.

Nel 1980, la quota dell'agricoltura in termini di valore aggiunto e occupazione era più alta (rispettivamente, 9% e 30%) e, abbastanza sorprendentemente, era più elevato anche il peso del settore industriale (rispettivamente, 20% e 23%). Il settore dei servizi si è pertanto accresciuto notevolmente a spese degli altri due a partire dal 1980, anno in cui il peso era del 71% in termini di valore aggiunto e del 46% in termini di occupazione.

In valori assoluti, dal 1980 al 1996 l'occupazione in agricoltura è diminuita di 36.000 unità, l'industria ha perso 25.000 posti di lavoro, mentre nei servizi l'occupazione è aumentata di 80.000 posti, di cui 48.000 nei servizi privati e 32.000 nei servizi pubblici.

Si è assistito in pratica ad un processo di parziale deindustrializzazione, nonostante il livello di partenza dell'industria fosse già minimo. Diversamente, il processo di deagrarizzazione è da considerarsi una tendenza del tutto fisiologica, sia perché comune all'insieme delle economie occidentali, sia perché la Calabria partiva da valori comparativamente più elevati.

Il peso del settore agricolo nell'economia calabrese è ancora molto rilevante sia per il contributo alla formazione del valore aggiunto (7%) ma soprattutto in termini di unità di lavoro impiegate (24%): quasi un quarto delle forze lavoro calabresi trova occupazione in agricoltura (contro un 8% per l'Italia).

Il settore industriale calabrese è estremamente limitato (17% del valore aggiunto totale contro un livello nazionale del 30%; Centro-Nord: 33% Mezzogiorno: 22%). Ancora più esile, comparativamente alla quota nazionale, è il ramo dei "Prodotti della trasformazione industriale" (ottenuto disaggregando dal settore industriale le branche delle costruzioni e dell'energia) che non supera la quota dell'8% (Italia: 23%; Centro-Nord: 26% Mezzogiorno: 12%). Per la Calabria, la sola branca delle costruzioni (intorno al 7%) ha lo stesso peso di tutte le attività manifatturiere.

Il variegato settore dei servizi occupa una posizione preminente (più del 70% del valore aggiunto) nell'economia calabrese. Al suo interno, i "servizi non destinabili alla vendita", cioè fondamentalmente i servizi forniti dal settore pubblico, contribuiscono con quasi il 25% alla formazione del valore aggiunto e con il 23% all'occupazione complessiva (Italia rispettivamente a 14 e 19%; Centro-Nord: 12% e 17%; Mezzogiorno: 21% e 22%). Tra i servizi privati si nota una forte prevalenza dei comparti del commercio (20%) e dei trasporti (10%), con quote leggermente più alte rispetto a Italia e Centro-Nord.

Nella maggior parte dei settori produttivi la Calabria registra una produttività del lavoro inferiore a quella di Italia, Centro-Nord e Mezzogiorno.

Nei confronti dell'Italia, enorme è il divario nel settore primario (meno della metà in Calabria); la produttività calabrese è circa il 75% del livello nazionale nel comparto manifatturiero e il 63% nella branca delle costruzioni; raggiunge l'88% nel commercio, alberghi e pubblici esercizi ed è praticamente equivalente nel credito e assicurazioni.

Superiore è la produttività calabrese nel settore dei trasporti e comunicazioni e nei servizi pubblici, ma questo dato va interpretato con cautela per i noti problemi di misurazione della produttività nei servizi non destinabili alla vendita.
Infrastrutture
Dotazione infrastrutturale della Calabria

La dotazione di infrastrutture economiche (la disponibilità di energia, strade, ferrovie, comunicazioni, acqua, ecc.) gioca un ruolo fondamentale nella crescita di una economia e influenza in modo decisivo la produttività dei fattori della produzione. Le infrastrutture sociali (scuole, asili nido, università, ospedali, impianti sportivi, ecc.) hanno effetti importanti sul capitale umano e determinano il livello di benessere e la qualità della vita dei residenti.

La Calabria ha una dotazione di infrastrutture produttive pari ad appena il 43% della media nazionale (è ultima nella classifica delle regioni italiane), notevolmente inferiore anche alla media delle regioni meridionali (62%). Anche per quanto riguarda le infrastrutture sociali la Calabria ha la minore dotazione in assoluto (57% della media italiana), anche se il divario è meno consistente. Complessivamente, la dotazione calabrese di infrastrutture è la metà della media nazionale.

Il divario maggiore di infrastrutture della Calabria riguarda il settore idrico, appena il 17% della media nazionale. La Calabria è inoltre in forte ritardo nel settore dell'energia (31%). Meno accentuati sono i divari per trasporti e comunicazioni (80%).

Nelle infrastrutture sociali il gap più consistente è nelle strutture di assistenza all'infanzia (19% della media nazionale) ed è pesante anche nelle strutture culturali (56%). Il deficit infrastrutturale è del 20% in campo sanitario e del 15% nell'istruzione.

La disaggregazione tra le "vecchie" province calabresi mostra che Reggio Calabria è la provincia maggiormente dotata di infrastrutture sia economiche (49,2) che sociali (65,7), Catanzaro ha la minore dotazione produttiva (36,3) mentre Cosenza è la più povera di infrastrutture sociali (49,9).
Principali caratteristiche del modello di sviluppo Calabrese

L'asfissia produttiva è uno dei caratteri fondanti del modello di sviluppo calabrese di questo secondo dopoguerra. La crescita economica, considerevole se paragonata agli infimi livelli di partenza dei primi anni Cinquanta, è stata alimentata solo marginalmente dal settore mercantile mentre si è nutrita abbondantemente di trasferimenti monetari pubblici. Lo Stato ha svolto, e svolge tuttora, il ruolo dell'agente pressoché unico della crescita economica regionale, l'attore che surroga quasi completamente le relazioni di mercato.

Tuttavia, la specificità del modello calabrese di crescita economica non consiste tanto nell'eccesso di intervento pubblico quanto piuttosto nella curvatura assistenzialistica degli interventi e nel loro orientamento quasi esclusivo al sostegno del potere d'acquisto delle famiglie e della domanda aggregata. Diversamente, scarsamente incisive sono state, in quest'ultimo quarantennio, strategie pubbliche finalizzate al potenziamento delle attività produttive preesistenti e all'espansione della sfera mercantile regionale.

Oggi, la semplice continuazione del vecchio modello di crescita dell'economia regionale non sembra più possibile. La contrazione delle risorse a disposizione per investimenti statali, connessa alla crisi della finanza pubblica, la fine della politica degli interventi straordinari per il Mezzogiorno, e, più in generale, il prevalere nel paese di orientamenti culturali e politici di intonazione liberistica fanno presagire per il futuro prossimo scenari caratterizzati da una tendenziale riduzione delle risorse finanziarie pubbliche da destinare alle aree depresse e, quindi, alla Calabria.

La Calabria, dunque, sarà molto probabilmente costretta ad imboccare al più presto la via del potenziamento della propria struttura produttiva e dell'espansione delle occasioni di crescita endogena, ossia una strategia incentrata sulla mobilitazione del potenziale di sviluppo produttivo autonomo e sulla valorizzazione delle forze della produzione sedimentate o in formazione.

Guardando alle condizioni strettamente produttive dello sviluppo locale, l'ostacolo più rilevante, oltre alla scarsità assoluta dell'apparato mercantile, è connesso all'intrinseca bassa qualità del sistema produttivo esistente. La presenza diffusa di insediamenti produttivi integrati, quand'anche singolarmente di modesta entità quantitativa, avrebbe consentito infatti di prefigurare lo sviluppo futuro su basi imprenditoriali e aziendali già sperimentate e, comunque, su punti di forza concreti e precisamente individuati. Non che manchino del tutto in Calabria protosistemi produttivi territorialmente addensati, il problema è che, a parte ancora gli evidenti limiti organizzativi e dimensionali, tali sistemi risultano del tutto circoscritti ad ambiti territoriali delimitatissimi e, per di più, di modesto impatto sull'economia complessiva della regione. Nelle sue connotazioni essenziali l'apparato produttivo calabrese è, anche sotto il profilo degli standard qualitativi, ancora ben sotto la soglia minima funzionale per potere attivare autonomamente significativi processi di irrobustimento e di ulteriore espansione.

Frantumazione aziendale e polverizzazione territoriale sono due connotazioni qualitative, che sostengono la riproduzione della marginalità dell'apparato produttivo regionale e la sua stessa mancata crescita quantitativa. Le imprese denunciano un accentuato localismo degli sbocchi di mercato. La quasi totalità delle aziende ha come unico sbocco di riferimento per la propria produzione il ristretto perimetro provinciale o, al più, quello regionale, mentre solo un'esiguità di esse riesce a praticare con successo i circuiti dei mercati centrosettentrionali ed esteri. Dal lato degli approvvigionamenti degli input di produzione (materie prime, semilavorati e impianti), di alcuni servizi di consulenza specialistica e di manutenzione degli impianti, le imprese calabresi fanno invece riferimento prevalentemente ai mercati del Centro-Nord o, addirittura, extranazionali, a causa dell'incompletezza della matrice interindustriale regionale. Si nota così una netta asimmetria nei circuiti di mercato frequentati dalle imprese calabresi: di pressoché totale integrazione con i mercati locali per ciò che riguarda le vendite e di elevata integrazione con i mercati centrosettentrionali per gli approvvigionamenti dei fattori produttivi. Questa asimmetria ha come conseguenza una doppia penalizzazione per le imprese. Sul versante degli sbocchi di mercato le espone ad una esasperata concorrenza distruttiva e individualistica in uno spazio economico assai ristretto, che alimenta la turbolenza e il turn-over aziendale, nonché la iperfocalizzazione gestionale sul contenimento dei costi, soprattutto di quello del lavoro, e un'accentuazione dell'entropia e del disordine localistico. Dal lato dei mercati di approvvigionamento, le imprese regionali sono costrette a sopportare costi di transazione aggiuntivi connessi alla lontananza e alla scarsa conoscenza delle aree di riferimento, oltre agli aggravi di costo derivanti dall'esiguo potere contrattuale delle singole imprese locali. L'ampio ricorso delle imprese ai mercati extraregionali per l'acquisizione degli input produttivi non è altro che la conseguenza delle discontinuità produttive e funzionali esistenti nella matrice delle interdipendenze settoriali locale. Le "catene del valore" della produzione risultano largamente incomplete, con rilevanti vuoti infra e intersettoriali. Al deficit di integrazione spaziale prima accennato, si contrappone così un altrettanto intenso deficit di integrazione intersettoriale: i comparti di attività economica seguono logiche di sopravvivenza autonome senza interconnessioni e legami significativi con quelli a monte o a valle. Le microimprese calabresi si connotano per un grado di integrazione verticale, ossia di autoreferenzialità produttiva, molto simile a quello delle grandi imprese fordiste che, come è noto, tendono a massimizzare l'internalizzazione delle relazioni di mercato al fine di sfruttare al meglio le economie di scala.

Nonostante tutto, lo sviluppo, anche se in forme assai gracili e precarie, non è estraneo alla regione. Propensioni all'attività imprenditoriale sono pure allignate e non mancano neppure borghesie professionali o dedite ad iniziative commerciali, fondiarie e finanziarie, anche se manca quasi del tutto una borghesia industriale locale, che per emergere avrebbe avuto bisogno di connotazioni ben più ricche della sola razionalità acquisitiva o di quelle tipiche delle operazioni immobiliarie o finanziarie. Imprese innovative e di "successo" propriamente produttive sono pure presenti, anche se il più delle volte il successo è rigidamente confinato entro le mura aziendali, non in grado cioè di produrre impatti modernizzanti sulle economie circostanti, proprio a causa della scarsa socializzazione produttiva delle imprese. Così come sono già attecchite prime esperienze di cooperazione interaziendale e di specializzazione produttiva e territoriale. Nonostante non siano emerse né una solida middle class né stratificazioni sociali in grado di forzare il sentiero autoctono allo sviluppo, la Calabria non è un deserto improduttivo e neanche un'area compattamente ostile allo sviluppo. Come si è cercato di sottolineare i problemi per far sì che lo sviluppo si estenda e solidifichi diffusamente nel territorio non sono pochi, tantomeno semplici o banali.

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